Il 16 maggio 2023 è stato pubblicato da INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) un comunicato stampa in cui si evidenzia come le imprese di ristorazione italiana siano “dipendenti dalle piattaforme delivery”.
Che significa questo? Significa costi esorbitanti per i ristoratori per asporto e un servizio di piattaforme terze che così rischia di diventare un lusso.
Ma facciamo un passo alla volta.
Cosa dice il comunicato INAPP
Dopo aver analizzato un campione di 40mila imprese del settore ristorazione, turismo e trasporti terrestri, nel comunicato INAPP “L’economia delle piattaforme digitali” si legge in estrema sintesi che:
- un’azienda su tre deve sostenere commissioni oltre il 20% per poter utilizzare le piattaforme terze di delivery
- il 68% dei contratti stipulati con queste piattaforme hanno clausole anche unilaterali di dipendenza per l’incasso dei pagamenti
- inoltre nel 92% dei casi gli incassi vengono differiti nel tempo, quindi i pagamenti da parte delle piattaforme risultano dilazionati
- le aziende della ristorazione (una su quattro) non hanno poi accesso alla informazioni della loro clientela, che diventa quindi cliente delle piattaforme, non del locale
- al 32% delle aziende di ristorazione è capitato almeno una volta di perdere clienti per disservizi causati dalle piattaforme
Insomma, un quadro non proprio roseo per chi utilizza questi servizi. Viene quindi da chiedersi: conviene ancora affidarsi a loro? La risposta è ni.
Piattaforme delivery: perché se ne è dipendenti
Il delivery continua ad avere un ruolo fondamentale nel settore ristorazione: rappresenta infatti quasi un quinto dei ricavi di tutto il settore. Inutile dire che complice è stata la pandemia (nel 2022 la consegna a domicilio ha mosso 1.8 miliardi di euro, per dire).
Ma non sempre un’azienda ha la possibilità di farsi carico dei costi di fattorini alle proprie dipendenze, o non sempre è in grado di dare visibilità alla propria attività. E le piattaforme delivery esterne appaiono come una soluzione gustosa a queste problematiche.
Infatti 19mila imprese le utilizzano, il 13% del settore.
Ecco come inizia la “dipendenza da piattaforma” di cui parla il professor Fadda, presidente dell’Inapp: con la necessità di emergere nel mondo del delivery da una parte (ormai sovraccarico di aziende), e l’incapacità di capire come dall’altra.
C’è profitto con le piattaforme delivery?
Le piattaforme delivery possono portare profitto. Ma non a tutti.
Sarebbe almeno opportuno, come da parola del professor Fadda, “riequilibrare i rapporti tra piattaforme e imprese al fine di non imporre oneri eccessivi a queste e ai consumatori”.
Ne avevamo parlato ormai un anno fa in un altro articolo sul “liberarsi dei costi delle app a pagamento” e intendevamo proprio questo: può andar bene utilizzare inizialmente queste app a pagamento, ma la vera svolta dovrebbe essere riuscire poi a “spostare” i clienti e farli ordinare direttamente da te.
Le app delivery di terzi dovrebbero essere usate come un alleato iniziale, ma al tuo servizio, non il contrario.
Alternative dirette alle piattaforme delivery
Ne abbiamo parlato in diversi articoli del nostro blog: le piattaforme delivery di terzi non sono l’unico modo per permettere ai tuoi clienti di ordinare da te!
Perché non affidarsi invece ad app personalizzate, siti e progressive web app proprietarie? E se proprio non puoi fare a meno di utilizzare (inizialmente) i servizi di terzi, perché non semplificarne la gestione da uno stesso programma gestionale “all in one”?
Scopri Speedy e tutti i modi per non soccombere alle piattaforme delivery. Chiedici una demo gratuita.
|
2 pensieri su “Siamo dipendenti dalle piattaforme delivery?”